Si sente spesso parlare di “Comfort Food”. Si tratta di tutti quei cibi che vengono mangiati perché regalano sensazioni di benessere, di conforto, di consolazione, di piacere.
Quante volte dopo una giornata pesante a lavoro o dopo un litigio ci viene voglia di mangiare cioccolata o patatine ma anche dei cibi che nella nostra infanzia abbiamo imparato ad associare alla consolazione? Il legame tra alcuni alimenti e le sensazioni di piacere avviene a livello profondo e quasi sempre si sviluppa nel passato. Basta aver provato una sola volta una piacevole sensazione in seguito ad un particolare cibo che si tenderà a ripetere la stessa esperienza nel futuro, magari nei giorni grigi di malumore. Come sostiene lo psicologo Brian Wansink: “i sentimenti che abbiamo quando per la prima volta mangiamo un cibo possono seguirci per una vita intera”.
Un cibo per ogni emozione
Ogni persona è diversa nella predilezione di un certo comfort food piuttosto che un altro. Da una ricerca che è stata svolta (Wansink, 2006) è emerso, per esempio, che uomini e donne tendono a scegliere cibi diversi: le donne preferiscono alimenti confezionati come il gelato, il cioccolato e i dolciumi mentre gli uomini si consolano soprattutto con gelato, pasta o pizza. In ogni caso può emergere il bisogno di concedersi un cibo che dia un piacere immediato e un pizzico di euforia in particolari momenti di tristezza, di delusione, di rabbia, di noia, di solitudine. Quella che, a volte viene chiamata “fame emotiva o nervosa”, rivolta a specifici alimenti, può presentarsi in particolari momenti della giornata. È molto probabile che il forte desiderio di cibo come consolazione e fonte di piacere compaia la sera. Questo succede sia perché verso la fine della giornata si riduce la produzione di serotonina, il neurotrasmettitore del benessere ma anche perché in questa fase del giorno capita di sentirci stanchi dopo il lavoro o dopo una giornata pesante dove abbiamo avuto molti problemi da risolvere oppure quando si susseguono pensieri di insoddisfazione, frustrazione e delusione per come sono andate le relazioni con gli altri. Ma a cosa può portare l’abitudine di “stuzzicare” cibo tutte le volte che si è attraversati da emozioni spiacevoli?
Il circolo vizioso
La conseguenza più scontata è che si verifichi un aumento di peso che può provocare disagio sotto forma di sensi colpa e questo, paradossalmente, induce a mangiare di più per consolarsi. Si inizia, così, a compilare una lista di buoni propositi come mettersi a dieta o fare sport. Che si riesca o meno a perdere peso e a ritrovare la forma, cosa succederà nei momenti di maggiore stress emotivo o nei periodi in cui sembra che vada tutto storto? Il rischio è che si ritorni alla “vecchia soluzione” di farsi consolare dai cibi che per un po’ si è lasciati sigillati nella dispensa. Ma anche se consolarsi con il cibo non comporta come conseguenza un aumento di peso rilevante, quello che rimane è che ancora una volta abbiamo utilizzato il cibo come soluzione di un malessere emotivo. È come se volessi aprire la serratura di una porta con una chiave sbagliata. Inoltre scegliere di mangiare dolci o altro Junk Food ogni volta che abbiamo un’emozione che ci disturba, significa ridurre drasticamente la nostra complessità, come a dire: una soluzione così semplice e a portata di mano, può essere buona per risolvere tutto. Purtroppo non è così semplice e ogni situazione che ci crea problemi, ha bisogno di una soluzione specifica e le emozioni scomode che ci provoca, hanno una loro specifica via di espressione e un significato da comprendere.
Come uscire dal circolo vizioso dei comfort food che, alla lunga, diventano loro stessi fonte di malessere quando se ne abusa?
Piccoli piaceri senza colpa
Rimanendo sugli aspetti più concreti del problema, Wansink suggerisce di associare al conforto, al piacere e alla consolazione dei cibi meno densamente calorici. Se per esempio siamo amanti di gelato, potremmo sceglierne uno più piccolo e magari con frutta fresca. Possono aiutare molto, infatti, queste semplici strategie di sostituzione degli alimenti più calorici con quelli più leggeri quando si ha bisogno di concedersi un pizzico di piacere. Ma è anche vero che a volte il palato fa delle richieste molto precise: se ci chiede cibi altamente palatabili (come una torta al cioccolato), difficilmente ci sentiremo appagati da uno yogurt, per quanto sia piacevole e cremoso. A questo punto, si può “lavorare” sulle quantità e il buon senso. Un conto, infatti, è magiare tre fette di torta, un conto è mangiarne una sola e scegliere un momento della giornata in cui veramente potremmo gustarla, possibilmente mangiando lentamente, senza distrazioni. Questo aiuta a percepirne pienamente il sapore e a dare al cervello il tempo di “registrare” il piacere che si sta provando e di attivare i segnali della sazietà, importanti perché rappresentano il nostro semaforo rosso, lo stop che ci indica che dobbiamo fermarci!
A volte, però, quando le emozioni che si vorrebbero soffocare con il cibo diventano molto ingombranti, tanto da provocare malessere, soprattutto se stratificate negli anni, può essere utile fermarsi a riflettere su di esse per capirne il significato e quali bisogni profondi nascondono per poi individuare, da soli o con uno specialista, delle strategie più efficaci per osservarle e trovare un modo più funzionale per esprimerle. Anche se questo può essere decisamente più impegnativo. Non è mai troppo tardi per rimodulare il nostro modo di affrontare la vita e le persone dalle quali ci lasciamo influenzare negativamente. Arrenderci, ci inchioda alla passività e alla delusione continua.
Anche tu senti spesso il bisogno di consolarti con il cibo? Raccontamelo nei commenti 😉
Pamela Serafini
Fonti
Wansink B., (2006), “Mindless eating, perché mangiamo senza pensarci?”, Editrice Pisani, Isola del Liri (Fr)
Si sente spesso parlare di “Comfort Food”. Si tratta di tutti quei cibi che vengono mangiati perché regalano sensazioni di benessere, di conforto, di consolazione, di piacere.
Quante volte dopo una giornata pesante a lavoro o dopo un litigio ci viene voglia di mangiare cioccolata o patatine ma anche dei cibi che nella nostra infanzia abbiamo imparato ad associare alla consolazione? Il legame tra alcuni alimenti e le sensazioni di piacere avviene a livello profondo e quasi sempre si sviluppa nel passato. Basta aver provato una sola volta una piacevole sensazione in seguito ad un particolare cibo che si tenderà a ripetere la stessa esperienza nel futuro, magari nei giorni grigi di malumore. Come sostiene lo psicologo Brian Wansink: “i sentimenti che abbiamo quando per la prima volta mangiamo un cibo possono seguirci per una vita intera”.
Un cibo per ogni emozione
Ogni persona è diversa nella predilezione di un certo comfort food piuttosto che un altro. Da una ricerca che è stata svolta (Wansink, 2006) è emerso, per esempio, che uomini e donne tendono a scegliere cibi diversi: le donne preferiscono alimenti confezionati come il gelato, il cioccolato e i dolciumi mentre gli uomini si consolano soprattutto con gelato, pasta o pizza. In ogni caso può emergere il bisogno di concedersi un cibo che dia un piacere immediato e un pizzico di euforia in particolari momenti di tristezza, di delusione, di rabbia, di noia, di solitudine. Quella che, a volte viene chiamata “fame emotiva o nervosa”, rivolta a specifici alimenti, può presentarsi in particolari momenti della giornata. È molto probabile che il forte desiderio di cibo come consolazione e fonte di piacere compaia la sera. Questo succede sia perché verso la fine della giornata si riduce la produzione di serotonina, il neurotrasmettitore del benessere ma anche perché in questa fase del giorno capita di sentirci stanchi dopo il lavoro o dopo una giornata pesante dove abbiamo avuto molti problemi da risolvere oppure quando si susseguono pensieri di insoddisfazione, frustrazione e delusione per come sono andate le relazioni con gli altri. Ma a cosa può portare l’abitudine di “stuzzicare” cibo tutte le volte che si è attraversati da emozioni spiacevoli?
Il circolo vizioso
La conseguenza più scontata è che si verifichi un aumento di peso che può provocare disagio sotto forma di sensi colpa e questo, paradossalmente, induce a mangiare di più per consolarsi. Si inizia, così, a compilare una lista di buoni propositi come mettersi a dieta o fare sport. Che si riesca o meno a perdere peso e a ritrovare la forma, cosa succederà nei momenti di maggiore stress emotivo o nei periodi in cui sembra che vada tutto storto? Il rischio è che si ritorni alla “vecchia soluzione” di farsi consolare dai cibi che per un po’ si è lasciati sigillati nella dispensa. Ma anche se consolarsi con il cibo non comporta come conseguenza un aumento di peso rilevante, quello che rimane è che ancora una volta abbiamo utilizzato il cibo come soluzione di un malessere emotivo. È come se volessi aprire la serratura di una porta con una chiave sbagliata. Inoltre scegliere di mangiare dolci o altro Junk Food ogni volta che abbiamo un’emozione che ci disturba, significa ridurre drasticamente la nostra complessità, come a dire: una soluzione così semplice e a portata di mano, può essere buona per risolvere tutto. Purtroppo non è così semplice e ogni situazione che ci crea problemi, ha bisogno di una soluzione specifica e le emozioni scomode che ci provoca, hanno una loro specifica via di espressione e un significato da comprendere.
Come uscire dal circolo vizioso dei comfort food che, alla lunga, diventano loro stessi fonte di malessere quando se ne abusa?
Piccoli piaceri senza colpa
Rimanendo sugli aspetti più concreti del problema, Wansink suggerisce di associare al conforto, al piacere e alla consolazione dei cibi meno densamente calorici. Se per esempio siamo amanti di gelato, potremmo sceglierne uno più piccolo e magari con frutta fresca. Possono aiutare molto, infatti, queste semplici strategie di sostituzione degli alimenti più calorici con quelli più leggeri quando si ha bisogno di concedersi un pizzico di piacere. Ma è anche vero che a volte il palato fa delle richieste molto precise: se ci chiede cibi altamente palatabili (come una torta al cioccolato), difficilmente ci sentiremo appagati da uno yogurt, per quanto sia piacevole e cremoso. A questo punto, si può “lavorare” sulle quantità e il buon senso. Un conto, infatti, è magiare tre fette di torta, un conto è mangiarne una sola e scegliere un momento della giornata in cui veramente potremmo gustarla, possibilmente mangiando lentamente, senza distrazioni. Questo aiuta a percepirne pienamente il sapore e a dare al cervello il tempo di “registrare” il piacere che si sta provando e di attivare i segnali della sazietà, importanti perché rappresentano il nostro semaforo rosso, lo stop che ci indica che dobbiamo fermarci!
A volte, però, quando le emozioni che si vorrebbero soffocare con il cibo diventano molto ingombranti, tanto da provocare malessere, soprattutto se stratificate negli anni, può essere utile fermarsi a riflettere su di esse per capirne il significato e quali bisogni profondi nascondono per poi individuare, da soli o con uno specialista, delle strategie più efficaci per osservarle e trovare un modo più funzionale per esprimerle. Anche se questo può essere decisamente più impegnativo. Non è mai troppo tardi per rimodulare il nostro modo di affrontare la vita e le persone dalle quali ci lasciamo influenzare negativamente. Arrenderci, ci inchioda alla passività e alla delusione continua.
Anche tu senti spesso il bisogno di consolarti con il cibo? Raccontamelo nei commenti 😉
Pamela Serafini
Fonti
Wansink B., (2006), “Mindless eating, perché mangiamo senza pensarci?”, Editrice Pisani, Isola del Liri (Fr)